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La sfida della buona genitorialità   versione testuale
Si è tenuto il secondo dei "Dialoghi per la Famiglia" promossi dal Dicastero



Per la seconda volta in occasione del ciclo di “Dialoghi per la Famiglia” promossi dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, la Sala Pio XI si è riscaldata della vivace partecipazione di specialisti e di pubblico, attento e appassionato, al convegno-seminario sul tema: “La madre e il padre nell’educazione dei figli. L’amore imperfetto”, mercoledi 29 maggio.
 
«Il tema della famiglia, ampio come il mondo, con tutti i temi che coinvolge, che riguardano l’umanità, ha un interesse globale, va affrontato sotto i diversi profili e innanzitutto sul piano culturale», ha detto, nel Saluto introduttivo all’Assemblea, il Presidente del Dicastero, Mons. Vincenzo Paglia. Quindi, ha citato il Papa Emerito Benedetto XVI: «Essere padri significa innanzitutto essere servitori della vita e della crescita dei figli». Ci troviamo alla «crisi di un modello educativo forte». E «il progetto educativo è forte quando ha una identità, solida e vitale». Alla base, c’è l’amore. Il modello perfetto, che comprende e sana ogni naturale, umana imperfezione, è il rapporto che lega Gesù a Maria e Giuseppe, in una «sintesi unica tra obbedienza e libertà che è uno dei segreti della spiritualità cristiana». Ma, nella nostra società, spesso «il padre è assente» e «l’egolatria la fa da padrona». La nostra è «una cultura che esalta l’individualità e la solitudine». «L’amore perfetto non è senza imperfezioni – ha concluso il Presidente – ma vive nell’equilibrio tra autorevolezza-obbedienza-libertà nella comunione familiare, fondata sul rispetto della vocazione di ciascuno».
 
Per il moderatore, Claudio Risèil malessere di molte famiglie di oggi non può essere compreso in modo separato dall’osservazione sull’essere umano in generale». E «non è irrilevante l’allontanamento dell’uomo da Dio». Infatti, «il rapporto con il divino è sintesi e ispirazione del rapporto con l’altro». La cultura contemporanea riduce l’uomo ad un oggetto e il mistero ad un problema da risolvere. «Quando il problema è risolto, scompare. Non si ammette l’impenetrabilità del mistero. I rapporti affettivi sono deboli, perché si ama l’altro come oggetto, non nella sua differente libertà e personalità».
 
«L’amore perfetto genera armonia ed educa all’autonomia autentica, che non è anarchia e non è dipendenza», ha detto Grazia Attili. «Le forme distorte della genitorialità producono invece aggressività e ansia, insicurezza e scarsa autostima, disadattamento». Per una educazione armoniosa, «c’è bisogno di un padre e una madre, con ruoli diversi e complementari. I bambini hanno bisogno di entrambe queste figure per diventare adulti ben adattati,, consapevoli del proprio valore e responsabili, capaci di risolvere i conflitti e trovare mediazioni». La madre rappresenta il rifugio, il conforto, la sicurezza, il padre educa alla relazione e all’osservazione delle regole, attraverso il gioco. Non sono situazioni da “Mulino Bianco”, ma molto dipende anche – avverte la studiosa – dalle condizioni economiche e dalla sicurezza del lavoro.
 
A giudizio di Giuliano Ferrara, sotto il profilo socio-politico, il tema della paternità è collegato a quello dell’autorità. La crisi della genitorialità e l’assenza del padre, nella nostra società, hanno come corrispettivo la crisi dell’autorità. «In Francia, in Spagna, presto in Inghilterra e plausibilmente in Germania, sono approvate leggi che annullano ogni differenza in nome della non-discriminazione: si parla di “tutore 1” e “tutore 2”, “genitore 1” e “genitore 2”. Si afferma il principio dell’auto-determinazione su quello dell’educazione. Viene meno il ruolo del padre, come educatore alla libera conformazione alle regole, viene meno il principio di autorità. Infatti, è l’autorità il crisma della paternità». E la paternità è stata «una conquista della civiltà», di cui è «depositaria la Chiesa». Per Ferrara, «non può esserci una ricostruzione della figura paterna nell’ambito di una cultura laica, ma solo nella dimensione della fede: di chi guarda il mondo non soltanto all’altezza dell’aria che respira, ma con lo sguardo rivolto ancora più in alto, cercando sicurezza e protezione, ma anche regole certe e autorità autorevole».
 
Costanza Miriano ha portato al sua esperienza di madre di quattro figli e di giornalista. E ha detto: «Può esserci autorevolezza genitoriale soltanto nell’ambito di un progetto educativo chiaro, con finalità definite e che coglie l’essenziale della vita. Io e mio marito diciamo ai nostri figli che il fine della vita è il Paradiso. Può sembrare una cosa semplice, invece non lo è». L’obbedienza – afferma Miriano – si fonda sulla verità. L’autorevolezza si fonda sulla verità e sull’amore. «L’essenziale dell’educazione è che in ogni persona umana convivono il bene e il male, e dunque, in ciascuno di noi c’è qualcosa da contenere, qualcosa da sviluppare e qualcosa da proteggere». L’impegno educativo dei genitori è «un lavoro di squadra». «Quello che conta è che ci sia un orizzonte comune verso cui muoversi, senza procedere a tentoni, per tentativi». Per i genitori Miriano, «la familiarità con Dio è questo orizzonte e il senso della vita». di bambino (in modo che non sia né invisibile né invaso), cercare la concordia educativa».
 
In una bellissima relazione teologica e morale, padre Olivier Bonnewijn ha mostrato come «la genitorialità è fondata sull’amore coniugale. Nel libro della Genesi si dice che l’uomo abbandona la casa del padre e della madre per unirsi alla moglie. La è all’origine della filiazione. La filiazione si radica nella genitorialità che a propria volta si radica nella coniugalità». Questo fondamento antropologico-sociale è messo in crisi con il divorzio. «Il bambino continuerà certamente ad essere amato dai genitori, ma l’uno separatamente dall’altro: viene meno la fonte dell’amore, che è la coppia. Mamma e papà hanno rapporti separati con il figlio e questi diventa il garante della continuità del rapporto con i genitori». Il bambino viene, così, “adultizzato”, “genitorializzato”, non è più rispettato come bambino. «Avviene una inversione del rapporto genitori-figli, con effetti nella vita sociale». Invece, «la norma morale vorrebbe che i bambini siano trattati da bambini e non da adulti. È una questione di giustizia: riconoscere ai figli ciò che a loro si deve». Come diceva Giovanni Paolo II: «I genitori devono volere la loro creatura allo stesso modo in cui la vuole il creatore, per se stessa». Ecco, allora, alcune “regole morali di buona genitorialità”, per famiglie unite o separate: «essere disponibili con i figli, dire sinceramente la verità, crescere il bambino nella libertà di espressione dei bisogni e di parola, dare al figlio il suo giusto posto di bambino (in modo che non sia né invisibile né invaso), cercare la concordia educativa».
 
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